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FROSOLONE: IL TERREMOTO DEL 1805

 

Il 26 luglio del 1805, alle ore 2:11 di notte, avvenne la catastrofe.

 Il tremendo terremoto, di magnitudo 6,6 con una profondità di soli 10 km, fu preceduto da vari fenomeni relativi alle acque sotterranee.

 A Bojano fu notato un aumento della temperatura delle acque delle fontane del paese e si intorbidì la sorgente del fiume Biferno.

A Isernia si seccarono le sorgenti che alimentavano le fontane della città.

Ad Agnone si inaridì il corso del torrente Verrino.

La scossa causò l’apertura di numerose ed estese spaccature nel terreno. Furono osservati sprofondamenti, avvallamenti e cadute di massi.

 Molti alberi risultarono sradicati o spaccati, in particolare, sui monti del Matese si aprirono numerose fenditure, da alcune delle quali fu osservato fuoriuscire del fumo nero maleodorante. Molte acque sorgive subirono un aumento della temperatura, mentre altre si essiccarono.

Le acque di molti corsi d’acqua apparvero intorbidate e aumentate di volume.

 Sulla sommità delle montagne di Frosolone furono osservate delle fiamme.

 Narra Gabriele Pepe (1779 - 1849; militare, patriota, letterato e poeta italiano, ufficiale dell'esercito) che “verso mezzogiorno del 26 luglio si sviluppò un caldo soffocante e in alcuni luoghi si arrestò il corso delle sorgenti .... verso il tramontar del sole, verso ovest l’atmosfera incominciò ad annubilarsi”.

Mentre la vita si svolgeva tranquilla ed operosa nei campi e nelle officine, i raggi del tramonto illuminavano i tre monti di Frosolone e la sommità delle Chiese che poche ore dopo sarebbero state inabissate dal terribile terremoto.

Fino ad allora c’era stato un forte vento che verso le ore due cessò completamente ...  e tutto era silenzio come se la natura avesse fatto una pausa.

Successe il primo urto verticale.

Ne seguirono altre tre in breve spazio di tempo, scosse ondulatorie ... più gagliarde e veementi che fan traballare violentemente il suolo.

 Gli edifici, furiosamente agitati, si stritolarono, si aprirono e piombarono sconquassati con un fragore indicibile.

 Nell’atto del fenomeno coloro i quali si trovavano in campagna non furono spaventati dal violento moto del suolo ma dal suono terribile che si udì.

Videro svilupparsi, dal seno della terra, due specie di fuochi e la montagna di Frosolone tutta accesa come se vi fosse precipitata una meteora incandescente.

Durante il corso della notte vi furono altre scosse alle ore 3:00 e alle ore 5:00.

All’alba del giorno dopo la montagna termino di bruciare.

L’orizzonte fu illuminato da un sole vivo i cui raggi svelarono la triste realtà fatta di morte e desolazione.

 I morti furono 1.000. I feriti 46.

 La popolazione all’epoca era di poco più di 6.000 abitanti anche se la relazione del Governo recava per Frosolone la seguente notizia: “popolazione: 3800; morti: 1000; tutto distrutto”.

Il Pepe, inoltre, dimostra a lungo che il “Monte di Frosolone”, vulcanico di origine, fu l’epicentro del terremoto del 1805.

 Conclude il Colozza:

 “.... essa risorse rinnovata, quasi che l’urto ne avesse suscitate le riposte energie. Le case abbattute furono riedificate con religiosa cura negli stessi siti. La industre attività degli abitanti trasformò in campagne fiorenti, disseminate di villaggi, quelle terre che le consunte pergamene descrivono in gran parte deserte e dominate dalle foreste ...”

 “Con immutato ritmo, anelanti di raggiungere il mare, discendono le acque limpide dei torrenti che scaturiscono dai fianchi della montagna e ne infrangono la solennità del silenzio. Quelle valli echeggianti che risuonarono dei canti degli antichi abitatori, ripetono ancora la nostra voce e le note del carme secolare della nostra gente”.

  

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Tratto da “Frosolone: dalle origini all’eversione del feudalesimo” di Michele Colozza.

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