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IL CONDOMINIO


Negli anni ’60 i condominii erano era ben altra cosa rispetto agli attuali dove a stento la gente si saluta quando si incontra.
Il condomino dove vivevo con i miei nonni era animato da “personaggi” più che da persone.
Il palazzo era stato costruito negli anni ’50 per ospitare tutti i vigili urbani della città.
Mio nonno, Don Antimo, vigile urbano, scelse il primo piano della scala “A”.
Il palazzo era (ed è) formato da due ingressi, scala “A” e scala “B”.
Ogni scala portava ad otto appartamenti, due per piano. Da pian terreno fino al terzo piano.
Il “frammento di memoria” di oggi riguarda proprio una parte di questi “personaggi”.
Al PIAN TERRENO della scala “A”, dove abitavamo noi, c’era la signora, anzi signorina, Nina, perché era “zitella”. Una grandissima rompiscatole!
Per colpa sua non potevamo giocare nemmeno con la palla. Di qualsiasi tipo.  Tutti i rumori le davano fastidio. Era un incubo. Ci urlava sempre dalla finestra.
Nemmeno l’estate ci lasciava giocare davanti al grande piazzale antistate il palazzo che oggi non è altro che uno squallido parcheggio pieno come un uovo.
All’epoca quasi nessuno nel palazzo aveva l’automobile per cui quello spiazzo era tutto per noi, era in nostro parco giochi, la nostra casa comune il nostro “centro vacanze”. Si giocava con i tappi delle bottiglie, con le biglie di vetro e con i sassi. Si giocava a nascondino e a guardia e ladri.
Peccato però che c’era sempre la signorina Nina, cicciona e rompiballe!
Se continuavamo a far rumore veniva a casa a lamentarsi con i nostri genitori o nonni, nel mio caso! L’appartamento di fronte alla signorina Nina, trovandosi al pian terreno, aveva la particolarità di avere anche un ingresso esterno. Che poi era l’unico utilizzato.
Lì all’epoca abitava la mia comare Luisa. La signora che mi aveva battezzato. Il figlio Enrico e stato per me uno dei miei principali amici d’infanzia.
Avevano una nota merceria appena dopo l’Arco di S. Pietro giù a Isernia. Soprannome “Mazzariell”.
Al PRIMO PIANO c’eravamo noi (cioè io con i miei nonni) e, di fronte, la signorina Rina. Una persona squisita, gentile, di classe.
Con la signorina Rina c’era anche la sua cameriera, Lucia. Praticamente le porte d’ingresso del loro e del nostro appartamento erano sempre aperte o quantomeno con le chiavi nella serratura, per cui era come se fosse un unico appartamento. Un’unica famiglia.
Aveva un nipote la signorina Rina, più o meno della mia età, si chiamava (e si chiama) Quintino!
Pensa te il destino.
Dopo 30 anni ci siamo ritrovati a Frosolone, la signora Rina, ormai sposata, con la sorella Maria, ossia la mamma di Quintino, e Lucia poi andata sposa al fratello della signora Rina.
Al SECONDO PIANO abitava l’autore di quello splendore che erano i giardini della villa comunale. Prati super curati, fiori dappertutto, colori, profumi, una vera meraviglia. Niente a che vedere con la villa comunale come è adesso.
Il suo nome era Giovanni. Un giardiniere dalle mani d’oro. L’uomo dallo sbadiglio micidiale. D’estate, con balconi e finestre aperte, quando sbadigliava, si sentiva fino a Venafro. Faceva tremare la casa. Fantastico!
Giovanni era l’unico al mondo a non saper pronunciare bene il mio nome, infatti, quando mi incontrava, mi chiamava “Gizià”.
<<Gizià andò va?>>  <<Gizià vie qua, fa ru brav m’raccumann!>>
Era un uomo buono Giovanni.
La moglie Giuseppina, invece, era una specie di terremoto difficile da gestire. Avevano quattro figli. Maria, Tonino e le “gemelline” Rina e Carmelina. Anche loro sono state per me delle carissime amiche d’infanzia.
Di fronte c’era la signora Marcantonio, molto riservata, lei e la figlia Pina. Brave persone.
Quando qualcosa non funzionava o si rompeva chiamavano sempre me. Sentivo che mi volevano molto bene.
All’ultimo piano, il TERZO, c’erano due fratelli macellai. Degli omoni tranquilli e paciocconi.
Avevano la macelleria giù a Isernia di fronte alla chiesa di Santa Chiara. Uno dei fratelli era celibe mentre l’altro aveva due figli. Il primo, Leopoldo, era più grande di me e il secondo, Ernesto, aveva più o meno la mia età.
Quando era piccolino Ernesto, come tutti noi, scendeva a giocare nel piazzale.
Un giorno vide in un angoletto un sacco di formiche e iniziò a chiamare, a gran voce la madre, la signora Gina.
Doveva urlare perché abitavano al terzo piano.
<<Mamma, mamma, mammaaaaa ... >> urlava sempre più forte fino a quando la madre, finalmente, si affacciò:
<<Ernesto cosa c’è, cosa urli?>>
<<mamma, mamma le vedi le “tommiche”>>
Da qual giorno per noi diventò “Ernesto le tommiche”.
Al PIAN TERRENO della scala “B” invece mi ricordo della signora “Teresa” detta “Teresenella” deteneva il record mondiale di “mal di testa” .
Mai vista senza una vistosa fasciatura alla testa. Aveva perennemente il mal di testa.
Nonostante questo però non ci dava mai fastidio, non era come la signorina Nina. Soffriva in silenzio. Il marito si chiamava Giovanni e, se non ricordo male, aveva un passato da pugile.
Poverina, mi faceva una gran pena con quella espressione di continua sofferenza.
Aveva due nipotine Mariangela e Rossella, molto belline e simpatiche.
Al PRIMO PIANO c’era un sarto di cui però non ricordo il nome. Era un omone con i baffi, molto riservato. Mi sembra avesse due figli un maschio ed una femmina. Sicuramente più grandi noi.
Di fronte c’era Camillo, un simpatico bidello. Anche la moglie era una brava persona (in questo momento però non ne ricordo il nome). Erano originari di “Conocchia” una frazione di Isernia. La figlia Annamaria era bella e simpatica. Per un periodo siamo stai molto amici. Una seconda figlia, più piccola di noi, si chiamava Michelina.
Al SECONDO PIANO c’era Cenzino. Un fabbro molto forte ed energico.
Ogni volta che mi incontrava mi diceva <<wè scapucchion, addò va?>> Non ho mai capito il significato ma si capiva che era un modo simpatico per salutarmi e che mi voleva un gran bene.
Aveva due figli, Fausto e, dopo molti anni, nacque Marco.
Fausto era molto fastidioso, una specie di bulletto che quando ti incontrava, molto spesso, ti sputava addosso. Davvero odioso.
Il cane “Dick” che girava sempre nel piazzale, se non sbaglio, era proprio di Cenzino il fabbro.
A proposito di Dick ho un ricordo molto simpatico.
Una volta, mio nonno, mise, appeso fuori al balcone, un pollo intero.
Il pollo sparì.
In pratica dal piano di sopra, Giovanni il giardiniere, con una canna e annesso amo, riuscì a catturare il pollo. Il giorno dopo disse a mio nonno che il pollo era caduto dal balcone e l’aveva mangiato il cane Dick.
Tutti credemmo a quella versione e il povero cane Dick si prese un sacco di insulti!
Dopo un po’, svelata la verità, il pollo venne restituito e Dick ottenne giustizia! Povero Dick!
All’ultimo piano dalla scala “B” c’era il mitico Amleto. Un sarto d’eccellenza. Il papà di Giustino, un altro dei miei carissimi amici d’infanzia. La moglie, Maria, era sorella di Enrico.
In pratica quando la comare Luisa aspettava Enrico, la figlia Maria aspettava Giustino.
Insomma i miei due amici, che avevano la mia età, era zio e nipote!
Amleto oltre ad essere un sarto, era un grande camminatore oltre che un fan del figlio Giustino che iniziava i primi passi nelle squadre di calcio locali come portiere. Piaceva molto ad Amleto tenersi in forma. Percorreva un sacco di chilometri ogni giorno.
Il destino beffardo lo fece morire d’infarto! Incredibile! Era proprio una brava persona.
L’ultimo appartamento al terzo piano, di fronte a quello di Amleto, era quello dove abitava “Tonino portone” non so perché lo chiamavano così. Era più grande di noi ed era il miglior amico di quel bulletto di Fausto. Insieme ne combinavano di tutti i colori.
Questi in sintesi sono i miei ricordi del famigerato condominio del “palazzo dei vigili” dove abitarono persone meravigliose che, in gran parte, non esistono più, in una città che anch’essa, purtroppo, non esiste più!

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