Era il 1970, mi mandarono alla “colonia marina” o “colonia estiva”.
Un incrocio tra una caserma, un centro di detenzione e un centro vacanze.
Mi misero su un pullman, a Isernia, mi salutarono/abbandonarono è iniziò il
viaggio.
Fui affidato ad una “tizia” che conosceva mia madre di cui non ricordo il
nome. Era una delle accompagnatrici. Penso una maestra.
Prima tappa Campobasso dove altri “condannati” venivano caricati per poi
partire per la destinazione finale: “Petacciato”.
Un viaggio interminabile. Chiaramente non c’erano le strade che ci sono
ora!
Arrivati finalmente a destinazione vissi l’esperienza che poi si sarebbe
ripetuta dieci anni dopo quando sbarcai a Cagliari per prestare servizio
militare.
Fumo messi in fila e zittiti. Iniziarono a dettare regole a voce alta.
Cosa si poteva fare e cosa no. Regole, programmi, turni da rispettare ecc..
ecc...
Un incubo!
Ci accompagnarono, in file per due, ai bagni. Erano “alla turca”, mai
visti!
Trauma!
Ma come si usano? Cosa sono? Cos’è uno scherzo? Che ho fatto di male? Ma
cosa vogliono questi da noi? Voglio tornare a casa!
Ecco cosa mi diceva la testa!
Poco dopo distribuirono le “divise”. Tutti vestiti uguali. Anche un
cappellino e un costumino orribile color cacca!
Arrivammo alle camerate. In un angolo c’era un paravento, era il letto per
la maestra accompagnatrice.
Nel camerone c’erano tanti letti, tipo l’ospedale di quei tempi.
Incubo!
Il mio era il terzo letto dopo quello dell’accompagnatrice, che forse era
lì per farsi una vacanza gratis.
Una mezza stronza che a tutto pensava meno che a me. Non ho nessun ricordo
positivo di quella tizia. Mai una parola, un gesto di affetto e/o di
comprensione. Non capiva la situazione che stavo vivendo e che avrei avuto
bisogno di una parola in più.
Una deficiente.
Tutta la “vacanza” fu un incubo. Non sapevo nemmeno dove mi trovavo. Fino a
quel giorno non sapevo nemmeno che esistesse “Petacciato”. Tantomeno dove si
trovasse.
Ero in un altro mondo, un mondo sconosciuto e poco accogliente. Mi sentivo
in prigione e non sapevo come venirne fuori per far ritorno a casa.
Dopo colazione, la mattina, ci portavano sulla spiaggia. Mai nessuno mi
aveva parlato di “crema solare di protezione”. Porca troia!!!
La sera era un gambero appena saltato in padella! La stronza
dell’accompagnatrice mi disse che era normale.
Una cretina!
Dopo circa 10 giorni, però, fortunatamente, i miei genitori si ricordarono
di avere un figlio da qualche parte e vennero a farmi visita.
Mai stato così felice di vederli. Ma durò poco.
Ne ho un ricordo vivido e indimenticabile. Eravamo sulla spiaggia, in
sottofondo la canzone di Massimo Ranieri “Rose rosse per te” diffusa da qualche
radiolina o non ricordo da chi o da dove, io ero lì a supplicare i miei di
portarmi via, di liberarmi da quell’incubo. Cercai di riassumere in poche
parole il dramma che stavo vivendo. Non ci riuscii.
La sera andarono via, e con loro le mie speranze di libertà.
Tanto per non farmi mancare niente c’era un ragazzino pestifero, il
classico bulletto che non manca mai.
Mi ricordo che era di “Gambatesa”. Un paese, allora, mai sentito nominare.
Pensai che quelli di Gambatesa fossero tutti così perché questo tirava
calci, a “gambatesa” appunto e aveva preso di mira me.
Un giorno presi coraggio e gli dissi <<se non la smetti chiamo mio
nonno che è un vigile urbano e ti faccio arrestare!>>
Il bulletto per un attimo ci pensò, mai poi continuò a tirare calci.
A quel punto, per la prima volta nella mia vita, all’età di 10 anni, usai,
d’istinto, la violenza. Gli zompai addosso mentre era sul letto.
Col mio peso lo tenni fermo. Misi le ginocchia sulla sua braccia per
immobilizzarlo e lo riempii di schiaffi con tutta la mia forza. Ma tanti di
quegli schiaffoni che ancora gli faranno male.
Da qual giorno non mi diede più fastidio!
Finalmente il mese passò. Ci ricaricarono sul pullman, direzione Campobasso
dove ad aspettarmi fortunatamente c’era mio nonno. Si tornava a casa.
L’incubo era finito, però avevo imparato un bel po’ di cose per cui capii
che non tutti i mali vengono per nuocere.
Di colonie però non ne ho mai più voluto sapere!
Commenti
Posta un commento