Passa ai contenuti principali

LA NAJA



A vent’anni mi sentivo immortale.
Nel 1980, già diplomato, patentato e fidanzato pensavo di possedere tutto ciò che si potesse desiderare a quell’età. Avevo la mia bella automobile, un impianto stereo da paura, gli amici della radio, insomma meglio di così era impossibile.
Ma una tiepida mattina di primavera, arrivò lei: la cartolina!
NO, non quella delle vacanze spedita da qualche amico, ma la cartolina di “chiamata alle armi”.
A ottobre 1980 sarei partito “militare” ossia “servizio militare di leva!”
La Patria chiamava e bisognava rispondere, obbedire!
Difficile descrivere quello che provai in quella luminosa e profumata mattinata primaverile.
Non potevo immaginare che stavo per iniziare un percorso ed una delle esperienze più intense, ricche, formative e meravigliose della mia vita.
Sì, proprio così, una esperienza, quella del servizio militare, che augurerei a tuti i giovani di oggi.
Ottobre arrivò.
Mia madre mi preparò il “valigione”. Era così pesante che immaginai avesse messe dentro tutto il mondo, automobile, stereo e compagni compresi.
Fu la prima volta che vidi mia madre e mio padre insieme accompagnarmi alla stazione dei treni. Mi bastò questo per alleggerire la pressione che mi stava quasi soffocando.
Feci finta di niente, li abbracciai, li salutai ed il treno partì.
Direzione Roma, poi Civitavecchia e poi la nave. Destinazione Cagliari!
Fu un doppio viaggio, quello della nave e quello nella mia testa.
Ero solo. Completamente solo come non lo ero mai stato. Non conoscevo nessuno, non avevo mai preso una nave e a quel punto vedevo incerto il mio futuro.
Quella nave mi stava allontanando dalla mia vita, dalla mia gente. Capii che quella esperienza avrebbe segnato sicuramente uno spartiacque tra la vita precedente e quella futura. 
La notte passò, tra mille dubbi, mille speranze.
Appena arrivati c’era l’esercito ad attenderci.  Un gruppo di ragazzotti esaltati iniziarono ad urlarci contro una serie infinita di ordini e raccomandazioni.
Godevano nel vederci terrorizzati.
Ci misero in fila e ci fecero salire sui camion, tipo quelli del trasporto bestiame.
Arrivammo alla caserma “Monfenera” di Cagliari. Una struttura enorme.
Era come vivere una situazione di ingiusta carcerazione.
Con il cuore in mano iniziai l’avventura.
Le camerate, le brande, i bagni alla turca, i caporali, i sergenti, l’alzabandiera, la sveglia alle 6:00, la mensa ... iniziò il CAR! (Centro Addestramento Reclute)
La mia valigiona, fortunatamente, aveva la misura esatta dell’armadietto metallico che mi fu assegnato, e meno male, altrimenti non avrei saputo dove buttarla!
Ci raparono a zero ci consegnarono uniformi e accessori vari e iniziò l’addestramento. Marciare, marciare, marciare .... sotto il sole, sotto la pioggia, marciare, marciare, marciare.
Andò avanti così per un mese. A quel punto il CAR doveva essere terminato e avremmo dovuto essere informati della destinazione successiva.
Per me così non fu. Molto probabilmente ero uno dei pochi non raccomandato.
Mentre i miei compagni furono assegnati ad altre destinazioni, io ed altri pochissimi colleghi di sventura rimanemmo per il “CAR AVANZATO!”
Un incubo!
Altre due settimane di estenuanti esercitazioni fino a quando non decisero di liberarci ed assegnarci ad altra caserma, altra destinazione.
Ricordo la sera, nella “libera uscita” compravo un sacco di gettoni telefonici, entravo in una cabina e chiamavo casa. Quelle telefonate erano vitali.
Provavo a chiedere di fare qualcosa per “liberarmi” da quella situazione ma nessuno fu in grado di fare nulla.
Dopo la telefonata a casa, comunque, mi sentivo alleggerito, pronto ad affrontare la giornata successiva.
Il CAR AVANZATO terminò e con esso tutte le ansie, le paure le angosce.
Dopo il temporale c’è sempre il sereno ...  a volte anche l’arcobaleno. Così fu!
Fui assegnato al R.R.A.L.E. di Bracciano - “Reparto Riparazione Aviazione Leggera Esercito”- in pratica dove riparavano gli elicotteri che andavano in missione in Libano.
Ero vicino Roma, vicino casa!
Arrivai in questo “aerocampo” che rispetto alla “Monfenera” era un hotel a 4 stelle, mi cambiarono l’uniforme e tutto il resto.
Basco blu, bellissimo, lo conservo ancora!
Tutti gentili, soldati, ufficiali e sottufficiali. Tutto un altro ambiente.
C’era un via vai di elicotteri ed aerei leggeri, tipo Piper.
C’erano ragazzi da tutta Italia. Era la prima volta che sentivo accenti così diversi. Imparai a riconoscere, dall’accento, la regione di provenienza. Il toscano, il sardo, l’emiliano e così via.
Feci amicizia. Tra questi conobbi un ragazzo della mia regione che stava per congedarsi, si chiamava Giovanni, laureando in medicina.
Aveva svolto il suo servizio militare nell’ufficio del comandante della caserma, in “Maggiorità” ed il suo capitano gli aveva chiesto di segnalargli qualcuno in sostituzione visto che lui sarebbe andato via di lì a pochi giorni.
Indovinate chi segnalò?
Arrivò un sergente e mi disse che avrei dovuto presentarmi alle 8:00 del giorno successivo dal vice comandante, il capitano Palumbo, non con la mimetica però, ma con la divisa.
Alle 8:00 in punto del giorno dopo, bello preciso, profumato ed elegante con la divisa ufficiale e il basco blu, ero davanti l’ufficio del capitano.
Il capitano Palumbo era una specie di playboy prestato all’esercito. Era un uomo molto bello, elegante e affascinante. Se la tirava un po’ ma in fondo era simpatico.
Mi fissò per un attimo, senza parlare.
Io ero lì impalato, fermo, senza sapere cosa dire, ero in stand-by!
<<Hai lo sguardo intelligente>> mi disse <<io non sbaglio mai, gli occhi parlano!>>
Oddio, pensai, ma non è che questo vuole prendermi per il culo!
<<Vieni, ti accompagno alla tua scrivania e ti spiego un po' di cose ...>>
Da quel giorno il capitano Palumbo è stato per me un punto di riferimento, un secondo papà.
Sapete quale fu la mia “carta vincente”? la mia vera fortuna?
Quella di saper scrivere a macchina!
Sì perché, tra le altre cose, mio nonno, fin da piccolo, mi aveva insegnato a scrivere con la “Olivetti lettera 82”. Era fissato con la macchina da scrivere e io imparai benissimo. Ero velocissimo.
In pratica, all’epoca, era come saper utilizzare il computer ai giorni nostri.
 “Impara l’arte e mettila da parte” diceva mio nonno. E aveva ragione!
Nel giro di un mese il capitano mi fece avere il grado di “caporale” e dopo altri tre mesi il grado di “caporal-maggiore”, il massimo grado per un soldato.
Dopo la prima licenza tornai in caserma con la mia Fiat 125 special. Era una soddisfazione vederla parcheggiata lì, davanti alla caserma, vicino a quella del mio capitano.
Tornavo spesso a casa Isernia. Ogni 15 giorni mi firmava una licenza di tre giorni. Ero proprio un privilegiato.
Mi piaceva tornare a casa in divisa. Lungo il viaggio quado mi fermavano i carabinieri, mi guardavano, mi facevano il saluto e mi lasciavano andare. Che soddisfazione!
La mia caserma, Bracciano ed il suo lago furono per me, per 10 mesi, la mia seconda casa.
Da lì in poi fu un susseguirsi di cose meravigliose.
La mia permanenza in quella caserma è stata una incredibile, meravigliosa, unica e irripetibile avventura.
Arrivò però il giorno del congedo.
L’agognato “foglio di congedo” per molti ragazzi, ma non per me.
Mi dispiaceva lasciare quel posto, quella divisa a cui mi ero molto affezionato, così come ero affezionato al mio capitano.
Fu proprio lui che mi fece chiamare nel suo ufficio per farmi quella proposta a cui ho ripensato per tantissimi anni, ancora oggi!
Disse <<Primerano tu sei una persona speciale ...>> (non me lo aveva detto mai nessuno!)
<< ... per questo ho pensato di proporti di rimare e proseguire la carriera militare. Qui potrai studiare e fare carriera ... IO TI AIUTERO’!>>
Sono queste ultime parole che ancora mi risuonano nella testa! L’unico rimpianto della mia vita. Forse avrei dovuto accettare quella proposta! ... o forse no! Chissà!
La vita è fatta di bivi, o vai a destra o a sinistra.
Sliding doors ... è il destino!
Ero troppo giovane, avevo la mia vita a Isernia, gli amici, la fidanzata, un lavoro, la radio e tutta una serie di cose a cui avrei dovuto rinunciare per moltissimo tempo e che forse avrei anche perso.
Ringraziai e dissi di NO! ... a malincuore non accettai!
Dopo quella esperienza ero un’altra persona.
Il ragazzino angosciato, timoroso, dubbioso era sparito per far posto ad un giovane uomo sicuro di sé, ottimista e positivo, rafforzato nel fisico e nello spirito.
Una nuova vita era iniziata, grazie all’Esercito Italiano, grazie al capitano Palumbo, grazie a mio nonno!

*****
Dopo un mese dal congedo mi vidi recapitare a casa una lettera. Riconobbi immediatamente lo stemma della mia caserma. Era una lettera del capitano Palumbo. Conteneva parole bellissime. Mi augurava ogni bene ed esprimeva soddisfazione per il lavoro che avevo svolto in quell’ufficio.
Non mi perdonerò mai di averla persa!


Commenti

Post popolari in questo blog

FROSOLONE: IL TERREMOTO DEL 1805

  I l 26 luglio del 1805, alle ore 2:11 di notte, avvenne la catastrofe.   Il tremendo terremoto, di magnitudo 6,6 con una profondità di soli 10 km, fu preceduto da vari fenomeni relativi alle acque sotterranee.   A Bojano fu notato un aumento della temperatura delle acque delle fontane del paese e si intorbidì la sorgente del fiume Biferno. A Isernia si seccarono le sorgenti che alimentavano le fontane della città. Ad Agnone si inaridì il corso del torrente Verrino. La scossa causò l’apertura di numerose ed estese spaccature nel terreno. Furono osservati sprofondamenti, avvallamenti e cadute di massi.   Molti alberi risultarono sradicati o spaccati, in particolare, sui monti del Matese si aprirono numerose fenditure, da alcune delle quali fu osservato fuoriuscire del fumo nero maleodorante. Molte acque sorgive subirono un aumento della temperatura, mentre altre si essiccarono. Le acque di molti corsi d’acqua apparvero intorbidate e aumentate di volume....

L’ANTICO COSTUME DELLE DONNE FROSOLONESI

Il costume tradizionale-storico delle donne frosolonesi è uno dei più belli, originali e colorati tra i costumi delle donne molisane. Gli elementi che lo compongono sono: -           il copricapo (o mappa) di lana nera con all’interno un tessuto bianco; -           lo spillone filigranato in oro che serviva a fissare la mappa sulla testa; -           la camicia con pizzi e merletti e maniche larghe con le soprammaniche di lana con ampio risvolto sui polsi finemente rifinito con nastri dorati e argentati e all’altezza delle spalle vi erano dei laccetti che andavano legati al corpetto; -           il corpetto di tessuto damascato e velluto, ricco di decorazioni, molto stretto in vita, aveva agli angoli superiori due applicazioni di nastro dorato o giallo a forma di fiore con un bottone dorato al centro...

GIOVANNI ANTONIO COLOZZA

M olte scuole e aule universitarie, in Italia, sono intestate a “Giovanni Antonio Colozza”. A Palermo e a Frosolone ci sono strade a lui intitolate. Ma chi era costui? Giovani Antonio Colozza fu un insigne pedagogista e illustre professore universitario, studioso e ricercatore. Nacque a Frosolone nel 1857 ed ivi morì nel 1943. Nel 1895 pubblicò la sua prima opera, la più importante: "Il giuoco nella psicologia e nella pedagogia" tradotta in decine di lingue in tutto il mondo. Nel 1899 pubblicò il libro “L'immaginazione nella scienza" opera di grande attualità che costituisce la base delle teorie del più grande filosofo ed epistemologo tedesco Karl Popper. Nel 1900 conseguì la libera docenza in Pedagogia presso l'Università di Napoli. Nel 1903 si classificò primo nel concorso a cattedra di Pedagogia presso l'Università di Palermo dove rimase per un ventennio. A Palermo insegnò, oltre che alla facoltà di Pedagogia, anche filosofia morale e legi...