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Lo so, considerando il titolo della mia pagina Facebook (Frammenti memoria dal 1960 in poi!), sono uscito un po’ “fuori tema” con i miei ultimi post, ma, facendo una piccola forzatura, anche questi ultimi argomenti trattati possono considerarsi come piccoli “frammenti di memoria”.

E allora per rimettermi in carreggiata e farmi perdonare, torno a metà degli anni ’80.

Vi racconterò di quella volta che fui convocato in direzione (in Via Libero Testa a Isernia) presso l’Ente di Formazione Professionale ENAIP, per il quale lavoravo, per una comunicazione urgente.

Era il 1983/84. Lavoravo da poco tempo presso questo Ente dove iniziavo a muovere i primi passi verso le Tecnologie informatiche.

L’ENAIP era un Ente di Formazione Professionale molto quotato e importante, con sedi in tutta Italia, disponeva di notevoli risorse economiche e non a caso i primi computer IBM, su cui potetti mettere le mani, li trovai proprio lì.

Ne avevo a diposizione una decina, visto che non sapeva utilizzarli nessuno!

Era l’epoca del Sistema Operativo MS/DOS e del Basic come linguaggio di programmazione.

Una vera fortuna.

Ma torniamo all’oggetto della convocazione urgente.

Quella mattina, con un po’ di preoccupazione ma soprattutto incuriosito da quella inaspettata convocazione, alle ore 8:00 ero già lì, in direzione.

Ad accogliermi, con il solito sorriso e la solita gentilezza, il direttore del Centro di Isernia.

All’epoca ero il più giovane insegnante di tutto l’Ente di Formazione, ero diventato un po’ la mascotte del corpo docente.

Mi fece accomodare.

In quel periodo avevo metà orario presso il Centro di Isernia e metà in quello di Trivento.

Mi disse che aveva una proposta per me.

Esordì dicendomi << ... lo so che sei molto giovane e che potresti avere qualche problema ad accettare la proposta che sto per farti, ma credo che, se accetterai, sarà per te una bella esperienza e sono certo che riuscirai a fare un bel lavoro ...>>

Dopo questa premessa, iniziai un po’ a preoccuparmi. Ma cosa stava per propormi?

Continuò << se accetterai potrai evitare di andare tre giorni a Trivento e completare tutto l’orario qui nella sede di Isernia ...>

Io a quel punto avrei già detto di sì, ... ma di corsa proprio!

Non andare più a Trivento significava risparmiare tantissimo di benzina e significava la fine delle levatacce la mattina all’alba!

<<inoltre ...>> disse <<avrai un aumento di stipendio per “l’indennità di rischio”>>

Indennità di rischio? ... pensai ... ma quale rischio?

<<praticamente ...>> proseguì <<si tratta di un corso sperimentale presso la Casa Circondariale di Isernia>>

Io per la verità non capii subito perché, fondamentalmente, non sapevo nemmeno che il “carcere” si chiamasse “Casa Circondariale”, ma poco dopo afferrai il concetto.

Insomma, riepilogando, avrei risparmiato un sacco di benzina, avrei avuto il completamento dell’orario nella mia città e mi avrebbero aumento lo stipendio che arrivava ad una cifra superiore di quella dei miei colleghi più anziani.

Insomma niente male!

Cosa avrei dovuto rispondere!

Risposi, naturalmente, di sì e che non vedevo l’ora d’iniziare.

A quelle condizioni sarei andato anche nel reparto malattie infettive pur di rimanere tutti i giorni nella mia città senza lo stress di dover viaggiare.

Iniziai così quest’altra avventura.

Non ero mai entrato in una Casa Circondariale. Quella fu la prima volta.

Arrivò il primo giorno di lezione.

La notte precedente avevo avuto un sonno un po’ agitato, ero così giovane e stavo per andare a parlare di Informatica a dei detenuti.

Non ero spaventato ma piuttosto eccitato così come accade tutte le “prime volte” per una nuova e insolita esperienza di vita.

Per la verità non percepivo nessun pericolo, l’unica cosa che avrei percepito era uno stipendio più cospicuo, che, specialmente a quell’età, non era niente male!

Non mi mandarono da solo, almeno il primo giorno.

Mi accompagnò un collega anziano. Un tipo davvero singolare. Non faceva che ripetermi <<piano, piano .... devi fare piano .... con calma, non c’è fretta ... sei troppo animato! >>

Per la verità mancavano solo 15 minuti all’inizio delle lezioni e questo mi faceva perdere solo tempo e continuava con il suo <<piano, piano, vai piano!>>

Insomma riuscì a farmi arrivare tardi ma mi disse che comunque era presto!

Mah!

Per rispetto ed educazione non dissi niente, ma non riuscivo a capirlo e non mi misi certo a criticare quel comportamento.

Arrivammo al grande ingresso col citofono. Le guardie ci aprirono immediatamente, salutarono calorosamente il mio collega anziano e furono molto gentili con me, il pivello!

Entrammo in una prima stanza dove ci perquisirono molto velocemente e, successivamente, ci fecero entrare in una seconda stanza/ufficio.

Ci fecero accomodare.

<<Un attimo che è pronto il caffè> disse una delle guardie.

Intanto il tempo passava e noi stavamo lì a fare salotto. Iniziarono a chiacchierare come vecchi amici che si vedono a cena il sabato sera.

<<Gradisce qualcosa da mangiare?>> mi dissero. Risposi di no perché avevo già fatto colazione.

Per la verità mi sentivo un po’ come un asino tra i suoni, però l’inizio dell’avventura carceraria non era iniziata proprio male! Anzi!

Dopo una mezz’ora di chiacchiere, caffè e pasticcini finalmente una guardia si decide ad accompagnarmi verso l’aula dove avrei dovuto tenere la lezione.

Mai visto tanti cancelli tutti insieme in vita mia. Corridoio, cancello, Corridoio, cancello, una serie infinita di corridoi e cancelli che si aprivano e chiudevano diffondendo un suono così inquietante che mi misero un po’ di agitazione addosso. In particolare quando si chiudevano alle spalle.

Durante il tragitto la guardia, vedendomi così giovane e sicuramente non abituato a quel tipo di ambiente, iniziò a rassicurarmi e a spiegarmi come funzionavano lì le cose facendomi una serie di raccomandazioni.

Intanto iniziò col giustificarsi per il ritardo con il quale ci eravamo avviati, mi disse <<qui il concetto di tempo è un po’ diverso dalla vita reale ... qui scorre tutto più lentamente ... per cui non si può essere fiscali con l’orario>> in pratica se la lezione iniziava alle 9:00, come minimo avrei dovuto aspettare le 10:00 e così via.

A qual punto iniziai a capire anche il <<piano, fai piano!>> del mio collega.

Arrivammo alla grande aula praticamente identica ad una normale aula scolastica. Di lì a poco iniziò ad arrivare qualcuno. Poi un altro e poi un altro ancora. Salutavano e si sedevano.

Arrivavano come un gregge di pecore. Ogni tanto ne arrivava uno.

 Io me ne stavo lì ad aspettare. Se mi davano il buongiorno rispondevo. Nient’altro.

Ad un certo punto arrivò un tipo. Entrò senza salutare nessuno. Non l’avesse mai fatto!

Il più anziano dei detenuti presenti si alzò di scatto e lo fulminò solo con lo sguardo.

Questo si rialzò immediatamente e venne a chiedermi scusa per non aver salutato.

Iniziai a capire qualcosa in più.

Lì dentro non comandavo né io e né la guardia, ma l’anziano del gruppo!

Da qual momento la presenza di quell’uomo rappresentò per me un’assicurazione.

Capii che con lui presente sarei stato sempre al sicuro. E così fu.

C’erano molti giovani, quasi tutti con la tuta e scarpe da ginnastica.

La guardia ormai era andata via ed ero rimasto lì da solo.

Quello che mi colpì erano gli sguardi di questi ragazzi.

È proprio vero, gli occhi parlano. Puoi fingere quanto vuoi ma gli occhi non mentono mai.

Inizia a parlare un po' di me, di chi ero, di cosa facevo e cosa mi interessava.

Capii che per loro era importante, iniziarono infatti a fare domande e ad interagire.

Era quello serviva. Andava bene così.

Anche se tutto quello non c’entrava nulla con la lezione che avrei dovuto tenere, era importante per la creazione del giusto clima di fiducia. Era quella la parte difficile del lavoro, non certo l’insegnamento della mia materia.

Dopo un’ora di chiacchiere li vedevo già diversi, più a loro agio e più interessati ad ascoltarmi.

Anch’io lo ero. Il mio punto di riferimento era sempre lui, l’anziano del gruppo, o diciamolo chiaramente, il boss.

Il boss mi seguiva con lo sguardo e mi faceva capire se parlavo nel modo giusto o meno. C’era una specie di dialogo non verbale tra me e lui. Ormai era la mia guida.

La lezione, si fa per dire, terminò. In anticipo, chiaramente!  Ma lì le cose funzionavano così, infatti la guardia era già tornata con circa tre quarti d’ora d’anticipo per riaccompagnarmi all’uscita.

Si alzarono e, uno ad uno, vennero a stringermi la mano e andarono via.

Rimase solo lui, il boss.

Oddio, pensai, e adesso questo cosa vorrà!

Si alzò e mi venne vicino, la guardia si allontanò. Una scena da film.

Mi mise una mano sulla spalla e disse con tono pacato e sicuro con marcato accento partenopeo: <<Siete una brava persona, mi fa piacere che hanno mandato Voi, qui dentro vi rispetteranno tutti. Se c’è un problema dite a me! Buona giornata!>> nient’altro.

Mi strinse la mano e andò via.

Era fatta, avevo il placet del boss. Promosso!

La guardia mi guardò e annuì. Piano, piano, come al solito, ci avviammo verso il primo dei 15 cancelli da aprire e richiudere.

Dopo poco mi trovai, di nuovo, nella stanza delle guardie dove tentarono di offrirmi ancora del caffè che, gentilmente, rifiutai e in un attimo mi ritrovai davanti al cancello principale.

Il cancello si aprì, ero fuori, ero libero e l’ansia era sparita.

Il cancello si richiuse col solito fastidiosissimo rumore.

Mi venne subito in mente la Divina Commedia di Dante Alighieri, la prima delle tre cantiche, l'Inferno

 ... “E quindi uscimmo a riveder le stelle!” ...

Ma, per la verità, quello che avevo vissuto in quel poco tempo non mi era sembrato così infernale, anzi, avevo incontrato delle persone, dei giovani, che avevano sicuramente commesso degli errori nella loro vita e ne stavano pagando il prezzo.

Persone che avevano bisogno di un supporto, di un aiuto che a volte può arrivare anche da una semplice chiacchiera con un estraneo che ti dedica del tempo, che ti ascolta e ti considera e questo credo sia il ruolo principale di ogni insegnante a prescindere da chi si ha di fronte e a prescindere dalla materia che si insegna.

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