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VIVA IL PROF.

 

Ho insegnato, negli ultimi 20 anni, in centinaia di corsi di informatica, nelle scuole pubbliche, in quelle private, nelle aziende, negli Enti di formazioni e nella Fondazione “Giovanni Paolo II” presso l’Università del Molise.

 Ho conosciuto persone e “personaggi” di tutte le età.

 Mi è capitato di tutto e, per la verità, mi sono molto divertito.

 Iniziamo con la tipologia “beginners” ossia i principianti, quelli che si avvicinano per la prima volta all’utilizzo del computer. Solitamente persone di una certa età!

 Le femmine sono state sempre quelle più intraprendenti, quelle che hanno posto più domande, le più curiose.

I maschi, invece, quelli più timorosi, più scettici, più lenti, più silenziosi.

 In questi tipi di corsi le prime cose da dire sono tre:

 1.       Il computer non è intelligente;

2.       Non fa nulla da solo;

3.       Non è pericoloso.

 Qualcosa che ha accomunato tutti però riguarda frasi del tipo “mi ha cancellato tutto!”, “è uscito senza salvare!”, “si è spento da solo!” ... e così via, come se il PC fosse una persona e prendesse iniziative.

 In questi tipi di corsi ci vuole una buona dose di pazienza, ma i risultai poi premiano.

 La tipologia, invece, “saputelli” è la più interessante.

 Qui troviamo i giovani, quelli che pensano di sapere tutto solo perché smanettano su uno smartphone e poi non sanno nemmeno cos’è un sistema operativo, un firewall o un protocollo di comunicazione.

 Sono i più pericolosi, ignorano anche i pericoli della rete e fanno un sacco di casini.

 Questa tipologia, comunque, è la più vivace e interessante.

 Se con i principianti si partiva da zero, qui è ancora più faticoso, perché bisogna prima far capire che quello che sanno, o pensano di sapere, è sbagliato e poi si può ripartire da zero.

 I risultati però, in questi corso, sono sempre eccellenti.

 Esiste poi una categoria a parte. Sono i “refrattari”.

 Con un refrattario ti devi solo arrendere.

 Nonostante io abbia provato in tutti i modi, con tutte le tecniche, con tutta la pazienza umanamente possibile, un refrattario rimarrà sempre tale.

 Odia la tecnologia e si trova lì per necessità, perché ha bisogno di un attestato per il lavoro o per il percorso di studi o per un colloquio di lavoro che preveda il possesso di un attestato di quel tipo, ma odia profondamente tutto ciò che è tecnologico.

 Un refrattario lo riconosci subito davanti a un PC, perché se ne sta lì a fissarlo e, a volte, insultarlo.

Se la stampante non va, inizia a litigarci. Parla spesso da solo e preme sui tasti come se volesse sfondarli.

Scrive solo con l’indice della mano destra, la sinistra non la conosce e non la utilizza.

 A un refrattario per spiegargli un semplice copia-incolla ci vogliono dai 3 ai 7 giorni!

Per fargli usare un mouse ore e ore di prove.

 Non riesce nemmeno a pronunciare bene i nomi delle applicazioni e dei comandi. Per lui “Windows” è “Windon”, e per navigare in Internet usa “Gugh” e non Google!

 Una volta, uno di questi, a fine lezione, mi chiese dove fosse l’interruttore per spegnere il pc.

Cercai di fargli capire che non era come spegnere una lampadina, ma bisogna avviare una procedura di spegnimento, arresto o sospensione.

 Mi fissò e disse <<Aeee pur p’ stutà tutt stu casin!!>> (Aeee anche per spegnere tutte queste complicazioni!)

 Insomma di categorie potrei elencarne ancora tante ma preferisco ricordare la scuola che mi ha lasciato i ricordi più belli, che mi ha dato tanto e che mi manca tantissimo, il posto dove ho avuto le maggiori soddisfazioni professionali e umane, dove ho avviato tantissimi giovani frosolonesi all’utilizzo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione: il caro, indimenticato, glorioso e defunto Liceo Classico di Frosolone, la cui chiusura ha lasciato una ferita profonda nel cuore di molti frosolonesi.

 Sono stato in tante scuole ma quel Liceo aveva qualcosa in più. Lì mi sentivo a casa. Lì percepivo un’atmosfera diversa, serena e appagante, come se le anime dei personaggi illustri che lo frequentarono fossero ancora lì a protezione delle giovani promesse frosolonesi.

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